Il Natale è la festività che più di ogni altra elicita emozioni e sentimenti vari e contrastanti. Intanto c’è l’amore, quello scritto, cantato, recitato, pregato e dichiarato; c’è il bacio sotto il vischio e la carezza di Babbo Natale al centro commerciale.
Segue a ruota la solidarietà che non puoi evitare perché te la impongono in ogni occasione: t’invitano a una cena, un aperitivo, una manifestazione qualsiasi… al momento del brindisi ti ricordano che è Natale e non puoi rispondere che ti senti molto solidale, ma che non si possono salvare tutti. Puoi solo rifiutare altri inviti.
Più complesso è il sentimento della generosità che, chi è previdente, fa nascere subito dopo le ferie estive quando, girare per negozi in cerca di regali, non è ancora così estenuante e i prezzi sono più accessibili. Man mano che il tempo passa, questo sentimento si trasforma in obbligo con conseguenze deleterie sui rapporti affettivi: la “nonnina”, per la quale si cercava un regalo a novembre, rischia di diventare “quella vecchia befana” verso metà dicembre se la strenna non s’è ancora trovata.
Il periodo natalizio è poi il momento culturalmente previsto per l’allenamento alla bontà d’animo; il principio che deve informare ogni azione e pensiero è: a Natale siamo tutti più buoni. Per i più ligi alle tradizioni questo diventa un mantra, una giaculatoria da recitare quando l’autobus non arriva, il capufficio è nervoso, o la vicina lascia di nuovo i secchi sporchi sul ballatoio.
A seguire c’è la gratitudine, una serie di ringraziamenti ed esclamazioni di gioia di fronte a oggetti inutili appena spacchettati. Dal 26 dicembre, Babbo Natale è licenziato: un grazie al suo indirizzo sarebbe superfluo. Resta l’eccitazione dei bambini, un fuoco d’artificio di tutti i colori emotivi, perlopiù positivi, ma talvolta con un pizzico di delusione, invidia e tristezza.
E che dire della nostalgia, quel groppo in gola, quel nodo allo stomaco su cui si costruisce la pubblicità dei panettoni, quei ricordi deformati dei Natali felici dell’infanzia? E il senso di colpa per i genitori anziani lasciati soli, la telefonata mai fatta, la promessa non mantenuta…
Il sentimento che però più colpisce chi di Natali ne ha già vissuti diversi, è il rancore covato nelle famiglie che proprio attorno al 25 dicembre sembra avvampare. Sarà dovuto alla pressione del periodo prenatalizio, oppure all’obbligo d’amore mal vissuto, ma il risentimento per la sorella perfettina, il fratello menefreghista, la zia che ha lasciato tutto alla Chiesa o lo zio che s’è intascato l’eredità del nonno, saltano sempre fuori durante le riunioni natalizie. Parole dette in un passato remoto, azioni credute dimenticate e sospetti spesso infondati, spuntano fuori dall’animo collettivo, come i canditi dalla fetta di panettone. Quante storie e quanti film ha ispirato il rancore di Natale! Nella fiction, in genere tutto si risolve con un plateale gesto di riconciliazione, ma nella realtà si resta frastornati, con l’impressione che la festa sia finita e l’amore, consumato, abbia lasciato solo un gran freddo. E poi sopraggiungono la nausea e quel gran desiderio di restare finalmente vuoti… e soli.