Ci sono sempre più campagne pubblicitarie atte a promuovere la lettura e tutte puntano su argomenti di tipo culturale. Sì, è vero, la lettura arricchisce la conoscenza, è cibo per la mente e ci fa crescere. Però c’è di più.
Da decenni si fanno ricerche sugli effetti della lettura sul cervello ma, con l’evolversi delle neuroscienze e della strumentazione atta a documentare l’attività cerebrale, i risultati stanno diventando strabilianti. Una ricerca, pubblicata l’anno scorso su Brain Connectivity, dimostra che la lettura di un romanzo può implementare la connettività cerebrale. Gli effetti sono stati rilevati attraverso fMRI (risonanza magnetica funzionale per immagini) e perdurarono diversi giorni dopo la fine della lettura. Si ottengono dunque effetti biologici, non semplicemente “di pensiero”.
Questi, e altri effetti positivi, sono però ottenibili solo con romanzi scritti in maniera coinvolgente, che permettano al lettore l’immedesimazione con qualche personaggio attraverso l’empatia, rafforzando anche la Teoria della mente, la capacità di attribuire correttamente gli stati mentali agli altri e di riconoscere che gli altri hanno degli stati mentali diversi dai nostri. Non è una capacità innata, il bambino la conquista tra i 4 e i 9 anni. Inoltre, questi effetti non sono ottenibili attraverso rappresentazioni teatrali o filmografiche.
Dunque, la scienza dimostra che un buon romanzo può modificare il cervello, con tutte le implicazioni che ciò comporta, soprattutto se si riferisce a un cervello in crescita e a quello di un anziano in cui le sinapsi muoiono. A proposito di cervello anziano, è stato dimostrato che la lettura contribuisce molto alla prevenzione dell’Alzheimer.
Servono altre ragioni per leggere un buon romanzo?