LA DISCARICA EMOTIVA AL TEMPO DEL VIRUS

Vivendo a 20 km da Bergamo ho una percezione della tragedia ben diversa da chi sta in località ancora non colpite e mi preoccupo quando non ricevo notizie dagli amici che abitano in zona. Alcuni se ne sono già andati, altri sono in attesa di sapere cosa sarà di loro e la speranza dei famigliari è tanto forte da assumere un rombo di preghiera. E poi ci sono gli echi dei tanti “perché?” lanciati al cielo che non dà risposte.

Le domande sono molte e dentro la mente di qualcuno si trasformano in accuse, prendono la forma della retorica, cavalcano l’onda della paura e del disagio generale per fare notizia e gonfiare l’onda successiva: questo tipo di surfing funziona così.

Ancora una volta i social media diventano il contenitore prediletto per chi voglia vomitare pubblicamente le sue manie e fobie, non necessariamente legate all’emergenza ma esacerbate dalla condizione di quasi detenzione a cui siamo costretti. Se i detenuti nelle carceri avessero l’accesso indiscriminato a internet, i messaggi che manderebbero all’esterno sarebbero dello stesso tenore.

Non c’è più l’occasione di vuotare l’ego traboccante, attorniati da uditori al bar, nelle feste private, sul posto di lavoro; non c’è più la disponibilità della discarica emotiva data dalle mille occasioni che l’ambiente esterno alle mura domestiche offre quotidianamente: l’insulto all’automobilista un po’ lento al semaforo, l’imprecazione al mendicante all’angolo, l’occhiataccia al ragazzo che se ne va tranquillo per i fatti suoi ma ha la colpa di essere nero, lo scherno tacito al disabile che non riesce a prendere il tram; è venuta a mancare la palestra relazionale in cui mostrare i propri muscoli gerarchici.

Ecco che ci si scopre vuoti e inutili, nudi davanti alla famiglia che non alimenta l’autostima ma l’autocommiserazione, che pretende e non restituisce come si vorrebbe perché l’impressione è di dare più di quanto si riceve. Aumentano i gesti d’insofferenza, le violenze domestiche ­–fisiche e psicologiche – tanto che il Coronavirus, nemico invisibile e ipotetico, che circola all’esterno, pare il minore dei mali.

E allora ben venga il web. Se le accuse più assurde a politici, amministratori, sistemi economici, popoli cinesi e tedeschi, fanno stare meglio i confinati, se dichiarazioni stupide –e spesso sgrammaticate– riducono lo stress di chi non ha neppure un cane come scusa per uscire, evviva i social media.

Però ricordate che l’impressione che date ora non svanirà il giorno che riapriranno le porte: internet accetta di fare da discarica ma nel contempo è la memoria delle nostre esistenze.