Anima mia

TempioAnima mia,

mi sono svegliata con la mente invasa di ricordi e dietro le palpebre abbassate sfilavano le immagini di strade e lunghe scalinate d’oriente. Sulla lingua avevo il sapore del tè, nel naso un profumo d’incenso e nelle orecchie la prolungata vibrazione della campana di quel tempio buddista a Kyoto, dove i fedeli davano un colpetto al battacchio prima di esprimere in silenzio le loro preghiere. Il monaco all’ingresso aveva detto che quell’unico rintocco avrebbe trasportato i suoni cosmici dei nomi dei fedeli dirigendoli verso l’infinito, attraverso le maglie della vita. Anche noi avevamo destato l’attenzione della divinità con il suono della campana sacra, e poi espresso un desiderio tacito guardandoci negli occhi, tenendoci per mano, sperando che i nostri nomi passassero insieme. 

Tu sei sempre stato il mio contatto col mondo fisico, così teneramente maschio e padrone di ogni soluzione meccanica. Ho viaggiato nella tua ombra quando il sole era cocente, e riparata dal tuo corpo quando il vento soffiava di schiena; abbiamo attraversato lande vuote e fiumi grossi, scalato montagne irte e affrontato le bufere più dense; io sempre mezzo passo dietro, al riparo dall’attacco dei draghi.

A tutti dicevi che ero più forte di te: così fredda e razionale, così certa sulla strada da prendere, e risposta da dare. Hai sempre temuto le mie lettere, e allora te ne ho scritte poche perdendo mille occasioni per farti capire quel che a voce non sapevo dire. Amore è la parola che più pavento: un sostantivo inflazionato ormai privo d’essenza, un recipiente dalle mille forme cangianti, e ingannevole nei contenuti. Spesso è solo uno spaventapasseri, buono a tener lontano concetti più grandi e vincolanti.

Non ci sono parole per descrivere il nostro rapporto, ogni definizione è una riduzione; è qualcosa che forse tu riuscirai a concepire tra poco, per me resterà ancora una sensazione frammentaria per qualche tempo. Spero non troppo, perché senza di te sarò monca, viaggerò sola, accecata dal sole e frustata dal vento; cercherò le tracce che hai lasciato e accanto troverò le mie.

Insieme. Anche ora che non mi parli più, se non attraverso il tuo respiro artificiale che ricorda la risacca del Mediterraneo, il ritorno dell’onda alla grande madre per poi ripresentarsi uguale e diversa. Per sempre.

Ti guardo ancora, e fatico a distinguere i contorni del tuo vecchio corpo che si perdono nel bianco delle lenzuola, la smorfia di dolore nascosta dalla maschera, gli occhi chiusi.

Ho pensato spesso alle parole di quel monaco buddista che, indicando le centinaia di biglietti legati ai rami dei ciliegi, aveva detto che gli spiriti non odono ma leggono. Credo anch’io che le parole scritte vadano ben oltre i limiti fisici e così legherò questa lettera alla testiera di ferro del tuo letto. Non averne paura, lascia che le parole fluiscano dentro di te e trovino ognuna la giusta collocazione nelle pieghe della tua esistenza, senza suono, senza voce.

Tutto è pronto, spegnerò la macchina con un dito.

Vai, anima mia.

 

Con “Anima mia”, Sibyl von der Schulenburg ha vinto il Premio Circolo IPLAC e il 2° Premio della III Edizione del Premio Nazionale di Poesia e Narrativa 2015 “Si accende il Borgo”, sezione “Lettera d’Amore”.