Ritengo di essere tra quelle persone che non si chiedono spesso quale senso abbia la vita, da dove veniamo e dove andiamo. Nel corso degli anni ho sentito varie ipotesi ma nessuna mi ha convinto. Trovo affascinante quella che vede coinvolta una nostra scelta relativamente a luogo e genitori da cui nasciamo.
Persone a me vicine sostengono di riuscire a mettersi in comunicazione con i defunti e qualche prova di attendibilità l’hanno data. Ma resta anche quello un bel punto esclarrogativo.
Staccandomi un po’ dalle domande sullo spirito, la faccenda che più mi incuriosisce è l’utilità di avere un corpo. Cos’è quell’involucro che segna il tempo che passa, riflette chi siamo o chi vorremmo essere e -in ogni caso- ci limita?
Non credo che la vita abbia un senso, tutt’al più una funzione, e potrei immaginare che sia proprio la sperimentazione delle emozioni. Uno spirito non potrebbe provarle. Le emozioni prendono proprio in nome da ‘emo’, sangue, perché molte modificano la circolazione sanguigna. Alcune fanno arrossire o impallidire, altre inviano troppo sangue alla testa o lo sottraggono. Per emozione ci si infuria e si sviene.
Uno spirito che si emoziona non è dunque pensabile, un fantasma che arrossisce neppure e uno spettro verde d’invidia sarebbe inconcepibile perché gli mancherebbe l’elemento primo: la bile.
Trovare una risposta al motivo perché sono chiusa in questo corpo mi conforta.
Ai fantasmi che popolano antichi manieri e moderne città, restano forse i sentimenti come l’amore e l’odio, ma sempre senza il batticuore e le farfalle nello stomaco. Gli spiriti dei boschi, invece, quelli che respirano l’Universo, delle emozioni possono fare a meno.