Per uno scrittore ci sono occasioni in cui la riproduzione di emozioni è più difficile, rallenta o si ferma del tutto. Non è un’incapacità permanente, ma una transitoria difesa della psiche. Un trauma, come un lutto in famiglia, una malattia seria o un abbandono, sono esperienze della vita che portano al momentaneo silenzio dell’anima che si esprime in un black-out emotivo, niente di irrimediabile, ma per l’autore che ritiene di dover scrivere – perché ad esempio è sotto contratto editoriale – comporta una specie di handicap.
La fantasia funziona ancora, i personaggi creati sono però evanescenti, non hanno corpo, sono pigri, i loro dialoghi e azioni sono spesso banali. La trama rallenta, testimoniando tutta la perdita di interesse dell’autore, oppure diventa monotematica incentrandosi sulla causa a monte, come la malattia, l’abbandono o la morte. Manca insomma gran parte della tavolozza dei colori delle emozioni.
Per chi ha uno stile “diluito”, pieno di parole di contorno e farciture letterarie, il problema è risolvibile attraverso l’artigianato letterario che funziona anche in condizioni di vuoto emotivo. Per chi invece scrive usando parole che sgorgano dalle emozioni, si pone la questione di trovare la spinta per produrre letteratura. Dove trovarla?
Lavorando con autori detenuti, spesso persone in grave difficoltà affettiva e con un ridotto senso del sé, ho imparato che si può uscire da questo vuoto descrivendolo, dandogli forma e dimensione, cercando il fondo del pantano per darsi la spinta verso l’alto. Non a tutti riesce, occorrono coraggio, impegno e proprietà di linguaggio, risorse non comuni di questi tempi e, se non si usano gli attrezzi giusti, si affoga. Si deve anzitutto imparare a usare le parole che aiutano non solo a comprendere, ma anche a costruire il mondo attorno a noi; il linguaggio dà forma, dimensione e colore ai nostri pensieri e noi diamo forma all’ambiente.
E saranno proprio le parole che aiuteranno lo scrittore in difficoltà a uscire dal buio emotivo, dal luogo più profondo della psiche dove rabbia, paura, gioia o amore non arrivano mai, là dove tutto pare esserci ma nulla vive.