Oggigiorno, serve ancora un Santo degli innamorati? La domanda è posta male in quanto i Santi servono tutti, per principio. Il fatto è che gli innamorati non sono più quelli di quando San Valentino fu incaricato del patrocinio dell’amore. Allora, l’amore tra due persone era un legame destinato a durare, che si doveva rafforzare o che poteva trovare ostacoli nei progetti dei capofamiglia, credo religioso o politico, classi sociali o differenze razziali. È chiaro quindi che, già nelle prime fasi, un aiuto dal cielo poteva essere decisivo. Ma poi c’era tutto il resto, e San Valentino doveva svolgere il lavoro più duro: mantenere il sentimento positivo nella coppia. Quando l’amore si trasformava in affetto, poi serena convivenza o anche solo tolleranza, e quando i due coniugi che l’avevano invocato anni addietro non potevano separarsi se non con la morte, San Valentino si adoperava per stemperare i rancori.
Oggi lo invocano tutti: amanti, amati, amorosi e desiderosi d’amore; lo chiamano in causa per qualsiasi tipo d’amore, dai bambini agli anziani, passando per gli animali d’affezione. Lo sento invocare sempre più spesso dai fedifraghi, quelli che lo impegnano per due o tre questioni amorose in contemporanea, e lo sento lodare a gran voce dai commercianti in tutto il mondo, in tutte le lingue.
San Valentino, giustiziato novantasettenne per aver celebrato il matrimonio tra una cristiana e un pagano, era stato vescovo, e non ci è dato sapere quanta esperienza avesse in materia d’amore. Di sicuro si sa che perse la testa.
Forse per questo continua a essere il Santo del cuore.