Scrivere, scrivere, scrivere. La matita s’accorcia e la carta non basta. La mente non tace il cuore sobbalza, il polso duole e la fine è ancora distante. Le parole nascono, giocano e si rincorrono, l’una chiama l’altra come mosche al sole e sai, che prima di sera, molte dovranno morire. La notte è sempre lontana, il giorno è fulgido sulle pagine numerate, nei capitoli che ingrassano, nel sogno che prende forma.
Poi di colpo il bianco. Il vuoto è abbagliante, la mente silente e il cuore di ghiaccio. Non spira un alito creativo, come un naufrago stai nel mare del nulla, immobile, e non c’è terra in vista. T’accorgi che l’ardore c’è stato, non sai dov’è andato, ma una traccia è rimasta nei solchi dei versi trascorsi. E allora torni indietro, all’incipit, e prendi la rincorsa scivolando tra le pagine scritte cercando quello slancio che l’una o l’altra, come un trampolino, potrebbero darti. Invece t’incastri, inciampi tra i ricordi di un’idea, dentro i resti di pensieri usurati, parole che non sono più tue e ti chiedi, dove mai sia finito lo scrittore.
È lì, tra i riccioli della matita e i lemmi strangolati: nel cestino del grande creatore.