C’è chi le ha rotte, girate, stracciate, arricciate, grattate, cascate, vorticate o scassate. Le palle degli italiani pare che abbiano subìto di tutto, danno il cambio a coglioni e cazzi, e sono in bocca – in senso locutorio – anche alle signore.
Il linguaggio sulla penisola italica è determinato dai maschi, infatti, una cosa eccitante è detta una figata. La locuzione “essere preso per le palle” è un correlativo oggettivo, in quanto fornisce emozioni particolari senza necessitare specificazioni. Pur essendo costruito su esperienze sensoriali, raggiunge anche il mondo femminile, direi quasi in modo viscerale.
Molte donne italiane usano richiamare i genitali maschili come sinonimi di forza, coraggio, determinazione e perseveranza: sono considerati attributi, qualità epiche inscindibili dalla figura eroica maschile.
Sono perlopiù donne quelle che sui social condividono frasi come “ci vogliono le palle per amare”, “la vita ti sorride se le mostri le palle” oppure “per dire la verità ci vogliono le palle”. In fondo sono tutte dichiarazioni maschiliste di cui, l’ultima, mi ricorda che ci sono sistemi giuridici in cui la testimonianza della donna non è ammessa, oppure è valutata molto poco.
Il linguaggio condiziona il pensiero, la parola conduce all’idea e quest’abitudine diffusa di sostituire metà del proprio lessico con un elemento della “triade pubica” porta necessariamente a una concezione maschilista, sul binario di una povertà idiomatica. Una sorta di burqa verbale.