Sempre più spesso si sente e si legge qualcosa circa il bisogno, il dovere, il diritto di “essere se stessi”.
Non so a quanti di voi sia chiaro che cosa s’intende con questa locuzione, a me viene sempre spontanea la domanda: “ma chi siamo?”
La risposta è di solito in funzione dell’obiettivo perseguito con la rivendicazione del diritto di “essere se stessi”. Lo scrittore esordiente che rivendica maggiore visibilità ritiene di essere un artista incompreso ed è convinto che il suo sé sia un genio letterario; la signora che desidera svincolarsi dagli impegni famigliari riterrà di essere una schiava del maschilismo e sosterrà sino allo stremo che il suo sé è una farfalla che si libra nell’aria; lo studente che ambisce alla sufficienza si ritiene essere una vittima del sistema meritocratico e ritiene che il suo vero sé non necessiti di lauree.
Ma queste persone, hanno davvero esaurito i loro sé nelle figure dell’artista incompreso, della schiava del maschilismo o della vittima del sistema? Ovviamente no, dipende dal dominio del sé chiamato in causa poiché ognuno di noi ha molti ruoli, ciascuno dei quali costruisce un sé : figlio, studente, lavoratore, e tanti altri.
Personalmente ho smesso da tempo di definirmi in modo unitario, cerco solo di mantenere lo stato di pace tra la schiera dei miei “me stessa” e condivido il pensiero di Osho Rajneesh:
La conoscenza di sé è un processo negativo. Non puoi conoscerti direttamente; puoi solo eliminare progressivamente gli oggetti di conoscenza; continua a eliminarli.