Ci sono vari modi di intendere il termine “cultura” e spesso non si riesce a dare una definizione chiara, mischiando aspetti sociali, antropologici ed educativi.
Ho provato a sondare come questo concetto così ampio fosse inteso dalla gente, ma non è stato possibile avere risposte precise e questo è dovuto soprattutto all’ambiguità del termine che lascia sempre il dubbio e mai centra un solo aspetto: questa particolarità semantica è d’immenso aiuto a chi sfrutta la cultura per interessi personali o politici.
Per agevolare un discorso sull’argomento tanto complesso, propongo di usare termini diversi ossia: sapere per la nozione originaria intesa da Cicerone ossia l’insieme di conoscenze ed esperienze di cui una persona ha saputo far tesoro arricchendosi spiritualmente, passando dallo stato selvaggio a quello civile; civilizzazione per quel concetto nato con l’antropologo E.B.Taylor che ha esteso le fonti educative dell’intelletto umano a tutti gli elementi ambientali caratterizzanti una società specifica deducendo quindi l’esistenza di una quantità di culture diverse nel mondo; cultura per l’insieme arbitrario di manifestazioni legate al bisogno di creatività e crescita intellettuale di una determinata società in un certo momento storico, quel calderone che giustifica l’istituzione di un ministero della cultura, divenendo un centro di potere.
La cultura così intesa assume oggigiorno le sembianze di una massoneria, dove l’intellettualità ha soppiantato l’artigianalità, diventando intellettualismo o cerebralismo, una nuvola di fumo dentro la quale gli adepti si muovono per loro interessi personali rivestendo un solo colore politico. I fruitori di questa cultura sono talmente multiformi e distratti, incapaci di afferrare la sostanza del fenomeno, da non creare pericolo per chi li dirige livellando l’offerta culturale verso il basso, dentro il brodo del culturalismo dove ogni cosa “fa cultura”, l’importante è soddisfare il maggior numero possibile di elettori.
I nemici sono invece personaggi fuori controllo, artisti, artigiani, editori, pensatori, creativi in generale che non si piegano alle regole della Loggia Culturale e si azzardano a promuovere la loro arte o il loro sapere presso qualche altro polo d’interesse politico, magari proprio in contrasto con l’ideologia culturale dominante.
Nascono così le liste nere di chi non è degno di essere considerato fonte di cultura, non è raccomandato dagli affiliati e non ha titolo per essere ammesso alle manifestazioni pubbliche, educative del sentire culturale della popolazione. È l’opera d’arte della massoneria culturale: la propaganda finanziata dal cittadino per essere indirizzato verso canoni addomesticati che esercitano grande influenza sui fenomeni di costume e portano all’uniformazione.
Cui prodest? vien da chiedersi, chi profitta di questo sistema di controllo della cultura e chi ne porta la responsabilità?
Per esperienza personale posso dire che spesso ne profitta chi non può essere definito “acculturato”, chi non ha un grado di sapere sufficiente a garantirgli levatura tale da collocarsi al disopra della media, chi si sente in qualche misura inadeguato e cerca la maschera per apparire ciò che non è. Ma, come ho già scritto altrove, la cultura è un campo in cui si possono tessere relazioni con personaggi di rilievo socio-politico e si gettano ponti verso qualsiasi centro d’interesse, per questo può essere tanto interessante e gratificante esserci.
Per trovare l’origine di questo sistema bisognerebbe tornare indietro nel tempo, a quando nacque la lodevole intenzione di offrire sapere facile a tutti e si creò una frattura ideologica tra chi scoprì –e sfruttò– subito il potere intellettuale e chi invece restò ancorato al vecchio schema di erudizione da conquistare con fatica e sacrificio. I primi si propagandarono detentori della cultura, i secondi si sentirono in dovere di osteggiare gli avversari ideologici levando le bandiere contro ogni manifestazione che avesse un’aura di cultura popolare. Alla fine ci guadagnarono i primi, ma l’indipendenza del pensiero, il senso estetico della massa e la promozione di cultura furono –e ancora sono– sovente condizionati da etichette politiche.
Come autrice mi devo spesso confrontare con l’idea politica di chi organizza manifestazioni letterarie pubbliche, non perché io abbia mai dimostrato affiliazione a qualsiasi colore o partito, ma perché in passato ho accettato l’invito a fare presentazioni da organizzazioni di ideologie diverse. Mi vengo così a trovare nella condizione difficile di chi intende restare indipendente, ma si deve sempre scontrare con la mente chiusa di chi vede il mondo solo rosso o nero e non intende cambiare visione poiché il suo successo personale è vincolato alla politica con i paraocchi.
Il sondaggio sul termine “cultura” al quale ho accennato prima ha rivelato, tra chi ha risposto, una forte tendenza a intenderlo come riferito alla conoscenza, al sapere, con termini quali: curiosità, desiderio, propensione, entusiasmo, fame, apertura della mente e del cuore. Nessuno ha dato una definizione di cultura come l’ho definita per comodità di esposizione più sopra. Evidentemente, le persone che credono nella cultura come mezzo di crescita personale, non la identificano con quel potere istituzionale che fa capo a un ministro, ma la sentono come una grande opportunità per ogni essere umano, un percorso meraviglioso senza uno specifico itinerario in cui il vero piacere sta nel viaggiare.